17 ottobre 2017

Marketing Global Summit 2017

Marketing Global Summit 2017

Quale direzione sta prendendo un marketing sempre più complesso che si dibatte tra metriche del ritorno dell’investimento e la necessità di targetizzare la propria nicchia senza, al contempo, perdere di vista il panorama complessivo?Gli interventi dei relatori dell’edizione appena conclusasi a Milano hanno provato a rispondere a queste e alle molte domande dei top manager in sala. I lavori si sono aperti con Goutam Challagalla, Professore di Marketing and Strategy e Direttore del programma Strategic Marketing in Action presso la IMD Business School. L’era della digitalizzazione e dei big data: come cambierà il marketing delle aziendeIl professore ha sottolineato l’importanza dei big data nel processo strategico di campagne marketing, mostrando diversi study case concreti di aziende che hanno declinato questo utilizzo con modalità e obiettivi più tradizionali o innovativi.Ad ogni innovazione del mercato, nel mondo digitale, corrisponde un cambio di leadership. Nel caso del segmento smartphone, ogni nuovo giga ha registrato un nuovo leader.Si è partiti da Motorola, poi Nokia, il Blackberry. Allo scatto dei 3 giga abbiamo visto l’avvento di Apple e poi Samsung che condivide ora il podio con il colosso dell’Iphone. Se Apple sembrava impossibile da scalzare, ecco che gli ultimi dati cinesi vedono in fortissima ascesa Huawei (che 7 anni non esisteva nemmeno). Queste successioni suggeriscono che non è più difficile emergere e rivaleggiare con i “big” del settore, ma è estremamente difficile restare saldi nella leadership nel tempo.Infatti, grazie alle analisi predittive e al marketing tattico, per molte aziende è stato possibile ottimizzare i dati attualmente in possesso, ma per sopravvivere e mantenersi leader del settore non basta più: secondo il prof. Chagalla è necessario fare un ulteriore “salto in avanti” a livello di digitalizzazione dell’esperienza dei clienti.Se la digitalizzazione si può definire come l’integrazione tra le informazioni e i prodotti o servizi, è possibile applicare queste innovazioni al prodotto stesso per fornire all’utente un’esperienza a “sorpresa continua”.Nei casi studio di Nestlé Milo e Oral B Genius GE Turbines si è deciso di migliorare la customer experience mantenendo inalterato e tradizionale il prodotto/servizio ma integrandolo con informazioni collegate al mondo dei consumatori, rendendolo “connesso”.Nei casi di Generali Vitality e McCormick, così come del Connected Watch Tag Heuer, si parla invece di un salto in avanti così sostanziale da portare in aree di business e necessità dell’utente talmente nuove da essere persino oltre le previsioni. Il secondo speaker in agenda era Bertrand Chovet, Managing Director & Partner di BetterBrandBetterBusiness. L'impatto della digitalizzazione sui brand: come valutarli, in termini finanziari e non soloIl motto di Lavoisier “nothing is lost, nothing is created, everything gets transformed” può ispirarci per capire come rendere il brand un agente di trasformazione focalizzandosi sulla centralità del cliente.La definizione di brand come “la promessa e la consegna di un’esperienza” e “l’asset che crea e assicura i profitti futuri, accrescendo la scelta, la fedeltà e l’advocacy” è valido oggi e resterà immutato anche in futuro.Il brand è anche quell’elemento che aiuta ad attrarre, motivare e ritenere i clienti. Lo stesso aiuta a generare la domanda, a garantirne la continuità e giustifica il premio in termini di prezzo che possiamo usare per stimolare ulteriormente l’innovazione sui prodotti.Quello che la tecnologia ha davvero modificato è il passaggio fondamentale dalla soddisfazione di un bisogno al divenire significativi in modo unico per il cliente.Non c’è più il B2B o B2C ma è tutto H2H (Human to Human). Gli stessi top player del settore tech ammettono che è l’esperienza del consumatore, la base da cui partire e poi andare a ritroso verso come garantirla al meglio attraverso gli strumenti digitali come afferma Steve Jobs: “You’ve got to start with the customer experience and work back toward the technology – not the other way around”.E’ importante allora collegare in modo perfettamente strategico Business, Persone, Brand ed Experience.Per farlo dobbiamo lavorare su Leadership, Esperienza e Impatto del brand al fine di generare valore.Un altro fattore importante da considerare per la strategia sono i driver.Quali sono i più forti? I Social Impact Drivers(Cosa ha valore per la società?) I Life Changing Drivers(Come cambia la vita?) Gli Emotional Drivers(Come mi fa sentire?) I Functional Drivers(Cosa fa?)  E’ auspicabile ottenere un mix equilibrato delle varie aree dei drivers ed è quello che possiamo notare in caso di brand forti come Amazon o Nescafè.Infine l’impatto deve creare ecosistemi che erogano buoni risultati focalizzandosi sulla pertinenza, la rilevanza e l’autenticità. Il terzo a prendere la parola è stato Richard Willis, Director Digital Marketing EuRoMea di Mattel Inc. Mattel: verso l'era del dopo TVWillis ha necessariamente inserito un’introduzione sulla storia di Mattel come house of brands, indispensabile per capire la portata dello storico shift da 50 anni di advertisement tv centric che improvvisamente aveva smesso di portare risultati, ad un modello innovativo digitalizzato. Il cambiamento appare ancora più sorprendente considerando che è avvenuto in un lasso di tempo di 18-24 mesi.Nell’era dell’ “attention economy”, il consumatore è circondato da mille scelte che -si può dire- lo bombardano. Si è passati dalla “felicità condivisa” di tutta la famiglia davanti alla TV, modello in cui Mattel si riconosceva e in cui era ormai maestro, al “Mobile first”, che ha letteralmente ribaltato le certezze acquisite nei decenni precedenti.I dati parlavano chiaro: le visite al sito web venivano per oltre l’80% da mobile, il 70% dei bambini preferiva ormai Youtube. La difficoltà era anche il doppio target di un brand come Mattel che doveva risultare attraente per il consumatore finale (i bambini) ma anche e soprattutto per le mamme millenial (le acquirenti) e per i parenti (target ulteriormente differenti come i nonni baby boomer).La stessa categorizzazione dei Millenial è molto, troppo ampia: diversi tratti dei Millenials sono passati anche alla generazione precedente, è quindi estremamente difficile raggiungere il target in modo efficace.Come fare?La chiave di lettura suggerita da Willis è di leggere i segnali deboli (quelli comportamentali/demografici) e quelli forti (quelli legati alle azioni concrete di un utente). Nella slide alcuni esempiPer riassumere: Non possiamo più dare per scontato di conoscere la nostra audience: conoscerne il DNA è diventato una priorità che va revisionata costantemente. Massima attenzione ai segnali: saper ricavare e inserire le informazioni da Google e dalle piattaforme per sfruttarle al meglio. Mettere realmente il cliente al centro di qualsiasi azione. Il quarto intervento è stato quello di Stephen Norman, SVP Sales and Marketing Worldwide di PSA Group. La digitalizzazione inevitabile: costi e...costi! Norman ha iniziato con un “esperimento” sulla platea: ha chiesto di poter usare il cellulare dei presenti, dimostrando come ormai sia considerato un’estensione di sé, per il carico di milioni di dati personali privati che contiene.Ha portato poi l’esempio dell’App WeChat: una sola App (di grandissimo successo) che permette di accedere a tutte le altre. Oltre agli aspetti positivi ci sono molti rischi legati a questa situazione e sono rischi legati alla mole di dati che confluiscono in quest’unica applicazione che ne entra in possesso.Il Marketing del passato a confronto con quello attuale (Il mercato dell’advertisement digitale globale -le bolle azzurre- dal 2015 al 2020 raddoppierà di volume passando dai 159 miliardi di dollari a 300) in una slide:Questa complessità ha portato a deprioritarizzare quelli che sono messaggi e canali alle fondamenta del marketing tradizionale.Un esempio molto eloquente in questo senso è la TV. Dopo l’intervento di Willis ci si potrebbe aspettare un “traditional TV is dead”: Norman dimostra l’esatto opposto. la TV si è, sì, digitalizzata (come nel caso di Netflix, Sky o Amazon che oltre ad essere piattaforme digitali sono anche gigantesche case di produzione) ma sta continuando a crescere e ad avere un’influenza massiva sulla società.L’introduzione dell’intelligenza artificiale in ambito di advertisement programmatico sta giocando un ruolo fondamentale e sta uscendo dai confini del settore media: tutti i canali sono ora (o al più tardi nei prossimi 5 anni) automatizzabili al 100%Al momento sono ancora pochi i brand che possono fregiarsi del titolo di “nativi digitali”. Un esempio in questo senso può essere Amazon, ma la maggior parte delle aziende ha una storia di cui va orgogliosa ma, al contempo, somiglia ad un bambino impaziente di provare il giocattolo più nuovo senza ragionare sulle conseguenze.La verità è che non si presta sufficiente attenzione al ROI e quando lo si fa si può notare che siamo molto lontani dall’efficienza, pur avendo investito nello sviluppo di un ecosistema basato su dati, altamente sofisticato e costoso. I risultati nel breve termine, dell’automatizzazione e della iper segmentazione sono marginali.I 3 punti riassuntivi che Norman individua nel suo intervento:Forse non tutto è perduto:“tendiamo a sovrastimare l’effetto della tecnologia nel breve termine e sottostimarlo nel lungo periodo” – Roy Amara, 1925-2007 (Presidente dell’Institute of the Future). A chiudere il Summit è stato Amitav Chakravarti, Professore di Marketing alla London School of Economics. L’intervento del Prof. Chakravarti si è concentrato sui paradossi strategici nel marketing e sul perché la stessa strategia ha successo o fallisce a seconda dei cosiddetti “segnali Go o Stop”.Il primo esempio è legato al mondo del food: dopo aver studiato i comportamenti e i driver emotivi degli acquirenti, si è provato a vendere prodotti considerati comunemente “cibo spazzatura” con il metodo “paradosso delle 100 calorie”.La stessa compagnia produceva due confezioni dello stesso prodotto ma nella seconda versione la confezione era più piccola, ad un prezzo maggiore del 300% per tenere a bada i “sensi di colpa” alimentari.Lo stesso pacchetto 100 calorie è stato applicato nei due anni successivi da moltissimi altri marchi o prodotti: in tutti i casi gli utenti pagavano un sovrapprezzo che variava dal 156% fino al 279%Poi è arrivato il caso Craisins che è stato un flop. In tutti i settori si nota questa parabola in cui c’è un iniziale successo (contro le aspettative), replicato in modo massivo che ad un certo punto smette di funzionare: il cosiddetto fenomeno “Hit-or-Miss”.Gli esempi non si limitano al settore retail, ma si possono constatare anche in politica, nell’educazione, nella prevenzione del crimine ecc.Per comprendere e utilizzare al meglio il meccanismo dei Segnali Go & Stop, Chakravarti fornisce una “griglia” di lavoro pe riconoscerli, oltre a descrivere 3 tipi di errori che avvengono se non si sanno cogliere adeguatamente e infine 5 step per sistematizzare il processo decisionale e le procedure aziendali implicate.Cosa sono i Segnali Go e Stop?I segnali Go sono tutti quei pensieri, sensazioni (anche inconsci) che creano la tendenza positiva del potenziale compratore verso il prodotto (es. qualità, design, packaging, nome del brand, esperienza in-store, influenza personale o sociale positiva).I segnali Stop al contrario, sono pensieri, sensazioni che creano una tendenza negativa verso il prodotto inibendo l’acquisto (es. problemi legati a prezzo/pagamento, senso di rischio, incertezza, potenziale pentimento, senso di colpa, segnali negativi a livello personale o sociale).Il dato interessante è che i segnali “intangibili” (quindi meno legati al prodotto o al brand) come i segnali sociali, possono essere ancora più decisivi nel successo o insuccesso.Un esempio particolarmente interessante di fallimento proprio sul piano dei comportamenti e dei segnali sociali, è quello della “macchina meno costosa del mondo” ideata in India da Tata Nano.In India c’era una situazione di forte dislivello sociale nell’utilizzo dei mezzi di trasporto: si passava dalle poche macchine costose a intere famiglie su uno scalcagnato motorino o bicicletta.Tata pensò di fornire a quella fetta di potenziali acquirenti di macchine un prodotto più sicuro (un’auto anziché un mezzo di fortuna) ad un prezzo accessibile. Lo sforzo di progettazione per un budget così ridotto fu ingente.Ma qualcosa andò storta e il lancio fu un clamoroso flop.Quale segnale di stop era stato ignorato? In India il passaggio da due a quattro ruote è un vero e proprio rito di passaggio e un evento sociale in cui sfoggiare il nuovo status: un risultato molto difficile da raggiungere con la macchina più cheap del mondo, nonostante gli standard di sicurezza.Paradossalmente questo prodotto fu acquistato più da top manager come seconda/terza macchina per la servitù, non essendoci nessuna necessità di ribadire uno status sociale già evidente.Basandosi maggiormente sulle ricerche prima di intraprendere alcuni step (magari costosi) e dando meno per scontato che un successo di altri si ripeta necessariamente per un caso diverso è possibile evitare risultati disastrosi annunciati.Nel libro di Chakravarti che i presenti in sala hanno trovato sul tavolo è possibile approfondire ulteriormente il metodo.